di Manuela Mancino, 5ªS2 Liceo Scientifico –
“Per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia.”
SERGIO MATTARELLA
In seguito al Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il Regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni, vengono annesse all’Italia: Gorizia, Trieste, l’Istria e Zara. Negli anni successivi, il regime fascista impone in tutto il Venezia Giulia una violenta politica di snazionalizzazione. «Vennero progressivamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, le scuole furono italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero posti limiti all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi» (Analisi bilaterale Italia-Slovenia dell’aprile 2001). Oltre alla fuga di moltissimi sloveni e croati, la conseguenza più evidente di tali provvedimenti è senza ombra di dubbio un forte sentimento anti-italiano. Anche nel ’41, dopo l’occupazione dei territori jugoslavi, il regime fascista si scaglia contro le minoranze, usando quanta più violenza possibile.
È il 1943, il mondo è stravolto da un’altra guerra, quella che nessuno si aspettava potesse mai scoppiare. Il regime fascista è caduto e con esso, dopo l’8 settembre, l’esercito italiano; gli eventi hanno interessato anche gli Stati della penisola balcanica, in particolare Croazia e Slovenia. Ormai controllate da Tito, questa è l’occasione ideale, e soprattutto la prima di una serie, per cercare ed ottenere vendetta per i soprusi subiti. Il maresciallo ha sconfitto i fascisti e i “domobranzi”: gli ingranaggi della macchina hanno iniziato a girare. Individuati i “nemici del popolo” non resta che ripagarli con la stessa moneta: in Istria e Dalmazia, gli italiani fascisti, ma anche altri molti altri non vicini a questa ideologia, vengono torturati, uccisi e gettati nelle foibe dai titini. Ha così termine la prima ondata di violenza, che però lascia subito posto alla seconda.
Per l’occupazione dell’Istria (ottobre 1943) i nazisti incendiano decine di villaggi e uccidono 3000 partigiani. Crollato anche il Terzo Reich, nel 1945, l’obiettivo di Tito è l’occupazione dei territori italiani. Tra marzo e aprile del ’45, alleati e jugoslavi si impegnano nella corsa per arrivare primi a Trieste; vincono gli alleati, che liberano la città e Venezia. Lo stesso non si può dire di Fiume e dell’Istria, che vengono occupate dall’esercito jugoslavo e che diventano lo scenario di una delle pagine più nere della storia dell’uomo: ha inizio il secondo periodo delle foibe. I condannati vengono legati l’un l’altro con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini di questi fossati. Vengono fucilati i primi della fila, i quali, precipitando nell’abisso, profondo fino a 256 metri, morti o gravemente feriti, trascinano con sé gli altri, condannati a sopravvivere per giorni, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inaudite. Tra il 1943 e il 1947 vengono uccisi ventimila italiani. Soltanto con la conferenza di Parigi del 10 febbraio 1947 la questione sembra volgere al termine. Come ha ricordato in diverse occasioni il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è necessario ricordare quanti hanno perso la vita nel massacro delle foibe e nell’esodo vero e proprio di tutti i nostri connazionali costretti a fuggire da tutti i territori ormai non più italiani.
Eppure, tanto dolore e tanta sofferenza sono stati quasi ignorati per ben 57 anni, come se nulla fosse mai accaduto. È infatti solo nel 2004, con la legge Menia, che viene istituita la Giornata del Ricordo. A distanza di 17 anni, si sente ancora parlare di negazionismo e giustificazionismo. C’è poco da dire, delle persone sono state brutalmente uccise e massacrate; nessuna legge del taglione, nessuna resa dei conti potranno mai essere utilizzate per cercare anche soltanto una parvenza di giustificazione per quanto accaduto. Nulla potrà essere fatto per restituire la vita, la libertà e la dignità a coloro che sono caduti nell’oblio per troppo tempo, uomini, donne bambini, definiti martiri. Possiamo però ricordarli, e possiamo riflettere su ciò che è stato, perché l’uomo dovrebbe imparare dai propri errori, e non voltare la testa dall’altra parte. Forse se ne parla ancora poco, forse bisognerebbe fare di più, forse ci sono troppi forse; dobbiamo ricordare le foibe, i morti, l’odio e la violenza che non si cancellano, perché per quanto possa essere doloroso o “scomodo” parlarne, è essenziale farlo.