di Carla Alaadik 3ªC1 –
Martedì 4 febbraio è stato per noi un pomeriggio diverso, trascorso al Festival della Filosofia “Stregati da Sofia” a Benevento. Il primo di dodici incontri è stato dedicato alla ricerca della definizione di uno dei concetti più controversi della storia del pensiero dell’uomo: la bellezza.
“Cos’è la bellezza?”, il filosofo Galimberti ci ha condotto attraverso una riflessione pacata ma incisiva sul senso da darle.
Partendo da Aristotele, Tommaso D’Aquino, ricordando Thomas Mann e “la bellezza che può trafiggerci come un dolore”, da Nietzsche a Heidegger, il Professor Galimberti ci ha presentato un excursus filosofico, che è stato un crescendo di intensità sul senso del bello e quindi della vita.
Dalla bellezza senza scopo e senza concetto di Kant siamo approdati al disincanto dei giorni nostri, in una condizione tragica in cui tutto è governato dalle logiche di profitto e anche la bellezza è un concetto utilitaristico.
Ogni premessa del Filosofo Galimbeti è stata pregna di un’apparente critica sociologica rivolta soprattutto a noi adolescenti, e alla nostra povertà di linguaggio, ai pochi libri che leggiamo, alla nostra incapacità di comprendere testi articolati, al nostro distacco verso la cultura.
Le sue parole potevano apparire quasi offensive ad un orecchio che non ne volesse cogliere l’intento educativo.
Invece quel messaggio è arrivato e ci siamo destati, soprattutto quando ci ha ricordato che ogni uomo deve perseguire il proprio δαίμων (“daimon”) per vivere pienamente nella bellezza.
Il bello invocato da Galimberti è dunque legato al senso di meraviglia, di stupore, di ascolto di noi stessi, nell’equilibrio -ed è un aspetto fantastico- tra ciò che è estetico e ciò che etico.
In questa armonia tra la ricerca del nostro demone e la consapevolezza dei nostri limiti, crediamo sia poi racchiuso il senso di ciò che è bello.
Oggi, finalmente, “lo spazio della riflessione –non- ha sostituito lo spazio dell’emozione”.