E’ come trovarsi ai tempi di Piero della Francesca, in compagnia delle sue esili, slanciate ed eleganti figure dai colli lunghi, gli sguardi incrociati degli occhi grandi e la ricchezza dei loro abiti. Questo è Maraviglioso Boccaccio, un film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani che noi studenti delle classi seconde e terze del Liceo scientifico – scienze applicate abbiamo visto il 7 maggio presso il Cinema-Teatro Modernissimo. Liberamente ispirato ad alcune novelle della famosa opera letteraria “Decamerone” di Giovanni Boccaccio, il film riprende la struttura dell’opera boccaccesca, selezionando alcune novelle drammatiche, argute o erotiche, che hanno tutte come protagonista l’amore, nelle sue innumerevoli sfumature.
Il prologo funereo è ordito con meticolosa perizia narrativa dai registi che descrivono la terribile pestilenza fiorentina del 1348: cadaveri rinsecchiti ammassati in una fossa comune, persone che per le strade camminano odorando mazzi di fiori campestri per allontanare il miasma della peste, monatti che sgombrano le vie dai corpi in putrefazione e, come nel quadro picassiano Guernica, ai cadaveri umani si aggiungono quelli degli animali stramazzati, un cavallo e un porco, colpiti anche loro dalla peste. La scena poi passa all’interno di Santa Maria Novella, dove sette donzelle e tre giovanotti, per quattordici giorni, decidono di rifugiarsi in una villa abbondonata tra le colline toscane, dove ritrovano la speranza, il sorriso, quella gioia di vivere che l’odore di morte della città stava facendo dimenticare loro.
Segue l’ambiente della casa nella campagna fiorentina, dove il paesaggio ha i colori e la luce dei quadri rinascimentali e la riunione delle sette donne e dei tre giovani sull’erba del giardino sembra rispecchiare quadri in cui si imparentano classicità e impressionismo.
Vengono stabilite le regole da rispettare per dare una disciplina al soggiorno della “brigata” in villa: le tre coppie (i maschi sono solo tre) dovranno attenersi a un comportamento casto (nel film si dice per non far nascere invidie in quelle che non hanno con loro il proprio compagno) e, per passare il tempo e dimenticare l’orrore e i dolori lasciati in città, si racconteranno a turno delle storie, su argomenti a piacere (a differenza del Decameron, dove ogni giornata ha una regina e un tema). Il resto del tempo lo impiegheranno nel provvedere alle loro necessità, come facevano i contadini, ma questa è una invenzione dei registi, forse per rendere più realistico il contesto, perché la narrazione di Boccaccio, invece, attribuisce, secondo le usanze medievali, tutte le incombenze domestiche alla servitù.
Ed è sullo sfondo di meravigliosi castelli trecenteschi e di una campagna rigogliosa, colma di colori e di vita che incontriamo i protagonisti delle cinque novelle che i registi hanno scelto di rappresentare.
La prima novella è una vicenda di morte e resurrezione e parla di monna Catalina, donna data per morta dal marito Nicoluccio, trovata e salvata da messer Gentile De Carisendi che non esita a reclamarne il possesso. Segue quasi a interrompere l’aspetto drammatico, la storia di Calandrino e l’elitropia, in cui Buffalmacco e Bruno si prendono gioco dello sprovveduto Calandrino , facendogli credere dell’esistenza di una pietra dai poteri straordinari. Inserita tra due novelle di stampo cavalleresco ed elegiaco è la storia della badessa Usibalda che non potrà punire il peccato sessuale di suor Lisabetta perché anche lei si è macchiata dello stesso peccato, in quanto sorpresa con le brache dell’amante sulla testa al posto del velo. Segue poi la novella di Ghismunda, figlia di Tancredi che ama il giovane valletto Guiscardo. Tancredi fa uccidere il giovane e manda alla figlia una coppa contenete il cuore dell’amato, ma per il dolore Ghismunda mette del veleno nella coppa e si uccide bevendolo. Il nobile Federigo è il protagonista della quinta giornata, dedicata agli amori che si sono conclusi felicemente. Caduto in disgrazia, gli rimane solo un falcone che decide di sacrificare, per un gesto di magnanimità a monna Giovanna.
Lontano dalle situazioni grottesche dell’opera di Boccaccio, il film dei Taviani non ha tradito però lo spirito del capolavoro trecentesco: il risultato è una commedia molto attuale che vuole raccontare l’Amore, una forza in sé sana e positiva, che, secondo il Boccaccio, è assurdo e vano frenare o reprimere, ma anche il migliore antidoto contro le sofferenze e le incertezze di qualsiasi epoca.