di Carmine Collina e Angelo Mancini –
Nel 1764 a Livorno, in forma anonima, veniva pubblicato “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, un “libriccino” che aveva promosso “non solo l’abolizion della tortura, ma la riforma di tutta la legislazion criminale”, come avrebbe acutamente osservato alcuni decenni dopo Alessandro Manzoni nella sua “Storia della colonna infame” (cap. III). Manzoni era nipote di Beccaria, figlio della figlia Giulia, ma questo non inficia il suo giudizio, largamente condiviso dagli studiosi e dalle persone colte del suo tempo.
Sono passati 250 anni dalla pubblicazione di questo trattato che si presenta sempre più di drammatica attualità, visto l’ alto numero di Stati che ancora pratica con sistematicità l’uso della “morte di stato” e della tortura come mezzo per “estorcere” la verità.
Le pagine che più frequentemente vengono richiamate sono quelle relative alla pena di morte che Beccaria dimostra “né utile, né necessaria” e quelle contro la tortura: “un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice” e “la tortura non divenga il crogiuolo della verità”. Accanto a questi temi noti ai più, ve ne sono altri che sono alla base della pacifica convivenza e della legalità: il diritto, la giustizia, non è un accessorio ma l’essenza stessa di uno Stato.
Sant’Agostino nella Città di Dio afferma: «Bandita la giustizia, che cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo? E che cosa sono le bande di briganti, se non imperi in embrione?».
Questo è il punto fondamentale che distingue uno Stato dai clan criminali: non il numero di gendarmi, ma la giustizia
Il successo del libro fu enorme, grazie anche a Voltaire che lo fece conoscere in tutta l’Europa, tanto che nel 1786 il Granducato di Toscana, primo stato al mondo, eliminò la pena di morte e la tortura dal suo ordinamento penale.
Per la prima volta uno Stato, un monarca, si spogliava del suo plurisecolare diritto di vita e di morte sui suoi sudditi per attribuirlo al suo legittimo proprietario, l’individuo stesso. Per la prima volta veniva riconosciuto il diritto inalienabile alla vita da parte di ogni uomo; per la prima volta il comandamento “Non uccidere” veniva sancito anche da una legge laica considerandolo un delitto più atroce del delitto stesso, come afferma Dostoevskij ne “ L’Idiota”: “L’omicidio, ordinato da una sentenza, è molto più atroce che non l’omicidio del malfattore. Colui che viene assalito dai briganti e sgozzato di notte in un bosco o in qualsiasi altro modo, sino all’ultimo istante spera certamente di salvarsi. Ci sono esempi di persone che, con il coltello già piantato in gola, speravano ancora, o fuggivano o chiedevano pietà. Ma nel caso della ghigliottina, questa estrema speranza, che rende la morte dieci volte più lieve, viene radicalmente soppressa; qui esiste una sentenza, esiste la certezza dell’impossibilità di sfuggirle, e questa certezza è di per se stessa un supplizio peggiore di qualsiasi altro”.
IIS TELESI@
organizza la Tavola rotonda
“Cesare Beccaria, 250 anni da Dei delitti e delle pene. Diritti umani e nuova etica sociale”
22 maggio 2014, ore 17.00
presso la Biblioteca dell’IIS Telesi@ (Sede di Viale Minieri, Telese Terme)