di Ricciardi Fiorella ( in diretta da Praga ) –
Praga è la prigione in cui visse, recluso volontario, Franz Kafka. E’ qui che lo scrittore si sentì prigioniero tra gente cordiale e simpatica e che, tuttavia, gli faceva paura perché ignorava tutto di lui. Nella vecchia Praga, che oggi abbiamo visitato, Kafka si aggirava come in un labirinto senza uscita. Il suo passato ebraico lo riportava sempre allo stesso sentimento: l’isolamento. Lo scrittore si sentì sempre un “isolato” perché ebreo e perché appartenente alla borghesia di lingua tedesca. L’Ebraismo a Praga non era solo un fatto estetico o sociale o di pietà religiosa, era, piuttosto, uno stile di vita. Per Franz Kafka, ragazzo cresciuto in una famiglia osservante, tutto questo appariva semplice e naturale, eppure, è difficile immaginarselo nell’antica, stupenda sinagoga di Praga forse fonte della sua inquietudine. La vita di Franz Kafka iniziò nel cuore della Vecchia Praga. Alle spalle della Chiesa di San Nicola, c’era una casa piccola ma confortevole, dove venne alla luce nel 1883 un bambino gracile e malaticcio. Il padre era un agiato commerciante, la madre era dolce e amorevole. Franz, fanciullo grazioso e pulitino, viziato dalla madre e dalle tre sorelle, era il figlio più giovane di una famiglia già numerosa. Tra le tre sorelle, ne amava soprattutto una, Ottla, la sua confidente. Una parente di Franz Kafka, una delle figlie della sua sorella prediletta, conserva molti ricordi dello zio nella sua casa. Egli descrive, attraverso numerosi suoi scritti, una famiglia severa e patriarcale; ne viene fuori, specialmente nella “Lettera al padre”, un rapporto difficoltoso con il padre. Non si può sapere, però, quanto ci fu di vero tra i rapporti che intercorrevano fra i due. “Per capire”, dice la figlia di Ottla, “Bisogna vederli dentro la famiglia, non al di fuori. Kafka era l’unico maschio di una famiglia ebrea ed era, per questo, idolatrato dai genitori, adorato quasi come un giovane Dio. Da quel che ricordo io, il padre gli voleva un gran bene. Se c’erano degli screzi fra loro nascevano dal fatto che il padre voleva che suo figlio fosse forte attivo, che non passasse le giornate fra libri, testi di letteratura e poesie; cose che al padre sembravano inutili. Kafka, invece, era un individuo debole, nervoso, preferiva restare in casa a leggere piuttosto che aiutare in negozio, non si preoccupava dell’avvenire. Nessuno della sua famiglia credeva che sarebbe diventato uno scrittore di fama mondiale”. Per tutte le opere di Kafka la critica si ostina da molti anni a trovare una chiave.. e ne trova moltissime, ma nessuna ha mai aperto lo scrigno. Le storie metafisiche di Kafka sono la parabola di una ricerca religiosa, sconfinante nella depressione e nell’ateismo, sono l’immagine distorta ma efficace della società capitalistica non fatta a misura dell’uomo e perciò oppressiva ed alienante, sono l’espressione figurativa del nostro mondo inconscio con i suoi sogni e i suoi complessi, sono la confessione cifrata dell’uomo Kafka, colpito da una malattia mortale e perciò tagliato fuori dal mondo dei viventi. Tuttavia il caso Kafka resta un mistero ed è, forse, il più appassionante della letteratura moderna. Secondo qualche critico, per descrivere Franz Kafka, basterebbero due parole: immensità umana. Egli aveva un rapporto di estrema, generosa simpatia con tutti gli uomini. Non esisteva un uomo troppo grande oppure troppo piccolo: tutti erano degni della sua amicizia. Kafka non ha mai valutato gli uomini secondo la loro posizione sociale, li considerava uomini e nient’altro. Basti pensare che si preoccupava che il suo scrittoio non fosse mai troppo in disordine per non dare troppo lavoro alla donna che lo serviva. Questa simpatia per l’umanità. condusse Franz Kafka, nei primi anni della sua gioventù, nelle file dell’organizzazione anarchica. Non restò per parecchio nell’organizzazione, preferì, piuttosto, cercare la salvezza nell’uomo stesso, nel profondo dei suoi sentimenti, nel profondo della sua fede. Se poi l’abbia trovata, è difficile da dirlo.