di Francesca Franco 4a S1 –
Questo è il quesito con il quale il professore Paolo Ricci dell’Unisannio c’introduce allo studio dell’economia aziendale, condividendo con noi studenti del Telesi@ una tappa fondamentale del nostro percorso verso l’esercizio consapevole della cittadinanza attiva.
Dunque: Che cos’è un’azienda?
Nel corso del tempo, spiega il prof. Ricci, l’azienda è stata definita in riferimento a quattro diversi modelli teorici ai quali si aggiunge un quinto, l’approccio legislativo.
Il primo modello, quello meccanicistico, riduce l’azienda ad un insieme di meccanismi e di schemi ossia ad un’entità chiusa al cui funzionamento presiedono modelli matematici; si tratta di una visione superata già da cinquant’anni da parte di quella scuola economica che recupera l’importanza del comportamento umano definendo l’azienda «… lo strumento dell’umano operare in campo economico » (Ferrero, 1968).
Una seconda definizione allude ad un modello organicistico secondo il quale l’azienda è come un organismo dinamico ed interagente con il contesto esterno.
Secondo la visione contrattualistica, invece, l’azienda è un insieme di rapporti giuridici, una somma di contratti all’interno di un sistema dove l’elemento negoziale allude ad una visione privatistica delle relazioni aziendali.
Se l’articolo 2555 del Codice civile definisce l’azienda come «il complesso dei beni organizzato dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa», il prof. Paolo Ricci conviene con Aldo Masullo, per il quale «l’azienda è prassi», evidenziandone l’agire finalizzato, che ne evita la riduzione a macchina, a negozio o, infine, ad organismo incapace di azione volontaria.
È dunque la teoria sistemica a fornire la soluzione del quesito iniziale, in quanto essa, completando il contenuto dell’art. 2555 del Codice civile, sottolinea la sintesi socio-tecnica che caratterizza l’azienda come «un insieme ordinato e coordinato di elementi la cui finalizzata interrelazione verso uno o più obiettivi comuni ed esterni rende unitario il suo funzionamento e le regole che lo presiedono»( Ricci, 2004).
Il sistema azienda rinvia ad una complessità omeostatica costituita da idee, persone, fini, operazioni, beni; tale complessità omeostatica si caratterizza per la durabilità, è aperta all’esterno e all’interno, implica un costante cambiamento, è incapace di previsione assoluta, è dinamica in relazione allo Stato, al mercato finanziario e del lavoro. La soggettività e la probabilità dei fattori in gioco sottraggono il sistema azienda ad ogni determinismo o previsione certa, consegnandolo al rischio più o meno elevato.
L’assolutizzazione del rischio crea disequilibrio e crisi, come è accaduto dal 2007 in poi.
L’attuale crisi è da ricondurre, nella sua genesi, alle politiche economiche thatcheriane e reganiane, fondate sulla massimizzazione dei profitti, sull’accesa competitività senza regole, sulla dimensione elevata delle imprese, sul rapporto perdente tra politica ed economia.
La politica che abdica all’economia legittima il senso comune che fa coincidere l’azienda e l’impresa, che trascura di sottolineare che non ogni prassi è finalizzata al profitto, ma che ogni soggetto economico è soprattutto persona umana.
A lezione conclusa, spendasi l’eco delle voci degli studenti e le luci del Centro pastorale Emmaus, riprendo il filo dei miei pensieri, nella speranza che le soluzioni siano sufficienti a colorare di ottimismo questo caldo pomeriggio di febbraio, che sembra non volerne sapere più di pioggia, di crisi, di incertezze.
Immagino di avere una penna.
Come posso venderla?
Creando un bisogno.
Allora chiedo al primo passante: «Vorresti scrivere in questo momento il tuo nome su questo foglio?»
Mi dice: «Sì, volentieri, ma non ho una penna!»
«Eccone una! Costa solo 50 centesimi!»
« Non ho soldi…», risponde.
Ecco, la crisi è sperimentare sempre la frustrazione dell’esclusione, sia che si abbia molto da dare, sia che si abbia poco da chiedere.
Con Einstein convengo che «l’inconveniente peggiore è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita» (1931), ma la soluzione non è nella strategia dell’equilibrio di J. Nash, né nella teoria della “mano invisibile” di A. Smith, perché non è detto che se ogni componente del gruppo provvede al proprio interesse si determinerà anche il bene collettivo. La teoria di J. M. Keynes presenta soluzioni attualissime quali la necessità di controllare il mercato finanziario e bancario internazionale, il rilancio degli investimenti che «dovrebbero dipendere un po’ di meno dal capriccio individuale e diventare maggiormente un affare di Stato» (Keynes, 1930), l’attenzione riservata al livello della domanda a cui si adegua il livello della produzione, l’ostilità nei confronti della politica deflazionistica, l’aumento della spesa pubblica e privata, la politica sociale redistributiva, la diminuzione dei tassi d’interesse.
In una sua recente lezione, il professore Giuseppe Marotta, parlando delle teorie economiche alternative, faceva riferimento a quella dello sviluppo umano sostenuta da Amartya Sen, alla teoria della decrescita di Serge Latouche, al social business di Muhammad Yunus, all’economia civile di Stefano Zamagni e, infine, all’economia della responsabilità sostenuta dall’Unione Europea.
Al di là di ogni tipo di ortodossia e di ogni interesse peculiare, se le teorie che ho elencato servono a capire la realtà e a modificarla, basta analizzarle senza pregiudizi e tradurle in prassi volte allo sviluppo dell’umano.