Oggi noi ragazzi della 3C1 abbiamo assistito alla seconda lezione di Diritto e Letteratura che si tiene presso il Corso di laurea in Giurisprudenza dell’Università del Sannio. Il tema centrale del corso di quest’anno, il “corpo umano”, ci interessa e incuriosisce sempre di più. La lezione di oggi, tenuta da una docente di Filosofia del diritto, la professoressa Antonella Argenio ha avuto come titolo “Esiste il diritto di morire?” La lezione atteneva come ci ha ben spiegato, alla sfera del “Biodiritto”, quale settore di studi interdisciplinare tra il diritto, la filosofia e la religione. Alla luce dei casi tragici di Piergiorgio Welby e Eluana Englaro, siamo stati invitati a riflettere sul valore della vita quale diritto alla dignità ed all’autodeterminazione perché La salute non può essere vista solo come un buon funzionamento degli organi, ma deve anche tenere conto di altri interessi. In primis, il benessere psicofisico del soggetto che chiede di vivere con dignità e, in nome di essa, di poter cessare di vivere quando la vita non è più come dovrebbe essere. Dall’altra parte ci sono i familiari del malato che non accettano di essere privati della persona cara, anteponendo la propria volontà a quella del malato. L’altro soggetto agente in questa analisi delle parti in causa è l’ospedale che non riconosce l’individuo come morente, ma come malato perchè la malattia è vista come un male da combattere sempre. Inoltre, l’art. 32 della Costituzione afferma che la salute è un diritto fondamentale e un interesse della collettività e come tale va sempre tutelato. Ma se esiste un diritto alle cure deve prevedersi anche un diritto alle non cure? Il dibattito è ampio ma sempre e comunque il valore fondamentale deve essere il rispetto dell’individuo. Il diritto alla salute può quindi essere visto anche come diritto a non curarsi, se questa è la volontà e la scelta del paziente. Si pensi al caso di Piergiorgio Welby che, tenuto in vita da un ventilatore si rivolse al tribunale di Roma per farsi staccare le macchine. In questo momento la legge non prevede un diritto a non curarsi ma questo è un vuoto normativo.
Ascoltando i docenti stiamo comprendendo quanto è sottile il legame tra il diritto e la letteratura che all’inizio, quando abbiamo iniziato a frequentare il corso ci sembrava uno strano connubio. Il diritto lo conosciamo come esercizio della professione forense, la letteratura è un’arte eppure tra loro quante cose in comune e quanti punti di contatto! Entrambi hanno importanti interessi: si occupano del linguaggio, dello stile e dell’espressione. Mettere insieme due universi così apparentemente lontani risulta altamente produttivo, tanto per i giuristi che per i letterati. La letteratura ha sempre trovato un suolo fertile nel campo di competenza del giurista, e viceversa. Una vecchia storia dunque. Forse la più vecchia di tutte.
Francesca Petretti