di Teresa Cavaliere e Stefania Pasquariello, Liceo Linguistico Telesi@ –
Nell’ambito delle lectiones di CittadinanzAattiva, la “sessione dialogante” tenuta da Pier Paolo Forte, sul tema della giustizia sociale e della dignità umana, ha costituito un’occasione per consolidare la convinzione dell’esistenza di un ethos originario ed essenziale che ci guida nell’agire. Un ethos che noi giovani non vogliamo perdere di vista perché rappresenta una speranza per il nostro futuro oltre che il frutto di un’eredità polifonica che ci arriva dalla fede e dalle sofferenze delle generazioni passate.
Se, come sostiene Paolo Forte, il diritto ha a che fare con la giustizia ma non è sempre un modo per assicurare la giustizia, perché non rafforzarne l’efficacia mediante atteggiamenti e prassi quotidiane di rispetto e di promozione dell’uomo in quanto tale, senza esclusioni e privilegi?
Oggi siamo giunti alla convinzione che ogni uomo è fine in se stesso, possiede un valore non relativo ma intrinseco, cioè la dignità. Essa ha come presupposto la libertà e consiste nell’autodeterminazione, nell’interiore disposizione al vero e nella consapevole responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri. Dignità è un concetto che non consente equivalenze perché non ha prezzo; per questo, come ha sottolineato il professor Forte, essa non è “egualitarismo pauperistico” e non può tradursi in una negazione della specificità della persona e del suo progetto di vita. Ne consegue che la violazione della dignità non può essere mai completamente risarcita.
In questi giorni che precedono il Natale, assistiamo alla negazione dei diritti più elementari: la dignità violata è condannata al silenzio assordante della popolazione di Aleppo, delle migliaia di migranti inghiottiti dal mare o ignorati dal nostro sguardo e dalla nostra coscienza; l’ingiustizia è nella negazione del diritto alla vita, all’esistenza dignitosa, alla partecipazione sociale, al proprio credo religioso …
Di fronte a tutto ciò, Papa Francesco, con la Lettera enciclica sulla cura della casa comune, sottolinea come la pace, la giustizia e la salvaguardia delle creature e del creato siano questioni connesse e interdipendenti e debbano essere affrontate mediante un progetto comune, a salvaguardia anche delle generazioni future. Il Papa denuncia la debolezza della politica internazionale e «la sua spensierata irresponsabilità» nei confronti di beni asserviti alle esigenze di pochi, risorse che hanno invece una destinazione comune e sui quali «grava sempre un’ipoteca sociale». La speranza del cambiamento riposa dunque su «un’ecologia integrale», una cultura della cura reciproca, fatta di piccoli gesti di apertura e di amore, la caritas in veritate di cui parla Benedetto XVI.
(foto di Alessandro Tanzillo)