di Chiara Grillo –
Continua l’itinerario di formazione teatrale e umana dei ragazzi del Telesi@ presso il teatro Mercadante di Napoli e dopo l’Orestea di Eschilo adesso la Medea di Euripide Il teatro è l’espressione più viva dell’Atene del V secolo a.C.. Lo dimostrano i drammi familiari di Eschilo, l’introspezione dei moderni personaggi di Sofocle e, soprattutto, il labirinto di angosce ed emozioni proprie delle donne di Euripide. Proprio di una delle sue donne, Medea, abbiamo avuto modo di percepire sofferenze e sensazioni attraverso l’adattamento teatrale di Gabriele Lavia. La sera del 23 Febbraio 2016, noi ragazzi del Telesi@, presso il teatro Mercadante di Napoli, abbiamo vissuto la tragedia di Medea, resa ancora più intensa dalle perfomance della strabiliante Federica Di Martino, nel ruolo di protagonista e di attori del calibro di Daniele Pecci e Angiola Baggi. Quella di Medea è la storia di una donna che tradisce la sua stessa famiglia pur di aiutare Giasone, l’uomo amato, nella conquista del Vello D’Oro. Ella, a sua volta, verrà tradita dall’amato coniuge, che le preferirà Glauce, giovane e bellissima figlia del re di Corinto, Creonte.
“In tutti gli altri eventi, piena è la donna di paure, e vile contro la forza, e quando vede un ferro; ma quando, invece, offesa è nel suo talamo, cuore non c’è del suo più sanguinario,”
Così Euripide descrive Medea nel momento più ricco di pathos della tragedia. La donna, infatti, non potendo tollerare l’offesa arrecatale dall’uomo per il quale aveva rinunciato a ciò che di più caro aveva, decide di attuare la sua vendetta privandolo di ogni cosa. Invia, dunque, un mantello ed una corona avvelenati alla nobile Glauce, la quale muore, non appena indossati i doni, nei più atroci dei tormenti; con lei il padre, che tenta invano di salvarla. La vendetta di Medea raggiunge l’acme con l’omicidio dei propri figli, che ha come unico scopo quello di privare Giasone di una discendenza. Un ruolo marginale è riservato alle divinità, che assistono al dramma tragico senza tuttavia interferire. Un Gabriele Lavia che, ancora una volta, spinge la sua protagonista femminile a vivere in scena sentimenti portati al limite della stessa opera letteraria. La Medea di Euripide, infatti, non contempla il furore e la folle agitazione con i quali il regista ha caratterizzato l’omonimo personaggio. Ciò che stupisce, infatti, nel testo originale, è che, nonostante la donna impazzisca per il tradimento di Giasone, attui la sua vendetta in uno stato di assoluta lucidità, completamente distaccata e quasi indifferente agli orribili delitti di cui si rende colpevole. Lavia, invece, ci propone una donna completamente travolta dai propri sentimenti, che indugia sino al momento stesso dell’orribile delitto. La trasposizione moderna, sia nella scenografia che nei costumi, è resa evidente dal ruolo di grande impatto che assume il coro di donne corinzie. Le donne del coro, accuratamente vestite dal costumista Alessio Zero, nei loro tailleurs grigi, sono così tanto simili, nelle sembianze, a delle suffragette, da portarne sulla scena anche gli ideali. Nella loro funzione di “coscienza” della stessa Medea, è come se volessero essere un monito per la donna, affinché ella non si macchi di una crudeltà che può appartenere solo ad un uomo e non ad una madre. Con grande maestria Gabriele Lavia e la sua compagnia teatrale sono riusciti a dar voce agli animi di personaggi vissuti più e più secoli fa nella fantasia di un grande tragediografo quale è Euripide. Grazie a registi ed attori simili, il teatro classico sarà sempre capace di scuotere le coscienze di chi, come noi, ha avuto o avrà la fortuna di prendervi parte e, attraverso le gioie, i dolori e le passioni dei personaggi, in una sorta di catarsi, lo spettatore avrà la possibilità di guardare nel profondo del proprio animo.