di Maria Antonietta Cassella, 3ªC1– L. Classico Telesi@ –
1° FESTIVAL FILOSOFICO DEL SANNIO
MAGIA, FORTUNA E …
Lectio Magistralis di Giovanni Casertano
Ed eccoci seduti ancora una volta nella platea del Teatro Massimo dove si è tenuto il quarto appuntamento del primo Festival Filosofico del Sannio, organizzato dall’Associazione culturale filosofica “Stregati Da Sophia”. La lectio magistralis è stata condotta dal professore Giovanni Casertano che ,partendo dal tema: ”Magia, fortuna e” , ha relazionato riguardo la magia in uno dei maggiori allievi socratici :Platone. La forte presenza nella Grecia più antica di veggenti, pizie , sacerdoti, profeti, oracoli ,conferma la tesi di una visione del mondo in senso magico e sacrale che è da sempre esistita. L’uomo ama illudersi per trovare conforto alla sua situazione esistenziale, ma soprattutto perché tali esperienze “non ordinarie” vissute dall’uomo di ogni tempo e luogo, lo hanno convinto del fatto che la realtà non è limitata a quella percepibile dai nostri sensi e che tutti gli uomini possono accedere attraverso alcuni stati di coscienza non ordinari ad altre ‘dimensioni’ dell’Essere e del mondo sensibile . Attraverso un’analisi di tutte le maggiori opere di Platone, il professore Casertano ci ha evidenziato come distinguere la magia buona e la magia cattiva presentando la figura del poeta, che molto spesso è paragonata a quella di un impostore o addirittura di un ciarlatano, spiegando la differenza tra incantare e persuadere e la necessità dell’incanto. Il professore ha cominciato la sua spiegazione proprio introducendo i dialoghi di Platone e della sua capacità di elaborare opinioni contrastanti che reggono due tesi completamente opposte ma entrambe vere; ad esempio nel Fedone, Platone oscilla tra due diverse tesi :la prima è una concezione negativa della presenza dell’anima nel “carcere impuro” del corpo per espiare una colpa originaria, e una concezione positiva ,spiegata nel Timeo ,dove l’anima è vista come un’entità che rende bella la creazione e come un simbolo della perfezione divina. L’anima possiede diverse facoltà: una desiderativa, una irascibile ed una razionale il cui esercizio deve essere armonizzato dalla razionalità realizzando così nell’uomo quell’armonia ordinata che è la giustizia. Alle tre parti dell’anima corrispondono nella città-stato tre classi sociali : i contadini e i mercanti, i guerrieri e i filosofi le cui funzioni si devono mantenere nell’ambito dei rispettivi ruoli affinché il governo dei filosofi sia giusto. Come le teorie sull’anima, Platone mette in pratica questo metodo anche con il tema della magia e con la parola filosofica che conduce l’uomo all’incanto. Nel Fedone l’incantesimo esercitato dalla parola socratica ha i tratti del discorso in grado di calmare un bambino impaurito, ma d’altra parte la figura di Socrate non ha niente di rassicurante. Il riferimento al fatto che Socrate eserciti un incantesimo compare in alcuni dei passi nei quali è descritto il disorientamento dell’interlocutore alle prese con la dialettica socratica. L’accostamento di Socrate a un incantatore è l’effetto che il filosofo procura con i suoi discorsi; è come se Socrate esercitasse una malia, somministrasse pozioni magiche, facesse uso di incantesimi. Nell’attribuire a Socrate i tratti di un incantatore, Platone non elimina dal concetto di “epodé “la sua ambiguità morale, ma fa in modo che a metterla in evidenza sia colui che subisce quella magia: Menone immagina che in una città straniera Socrate sarebbe arrestato come mago. Lo stesso Socrate ammaliatore è quello che turba Alcibiade nel Simposio ,può essere paragonato a Marsia per la sua capacità di incantatore ,Socrate sa ammaliare soltanto con la nuda parola senza l’ausilio di strumenti musicali . Esiste un incantesimo filosofico, un discorso che acquista un potere incantatore non solo perla parola come mezzo persuasivo , ma anche per i contenuti di verità che esprime. Non è un caso che il potere incantatore della verità sia affermato con forza proprio in un contesto in cui la magia della parola si rivela falsità. Nel decimo libro della Repubblica la magia è la forza illusionistica dell’arte imitativa, quindi anche della poesia; per sottrarsi a tale influenza è necessario possedere un “pharmakon”, cioè la conoscenza di come le realtà rappresentate sono veramente. La vera magia ,per Platone, non risiede in quelle pratiche chiromantiche tanto in voga ieri come oggi, ma bensì nell’uso della parola come strumento di conoscenza e di ragione ,come modalità per liberarsi dalle catene,uscire fuori dalla “caverna “ e guardare finalmente il mondo “vero”.